Il presente articolo è tratto da Il Dramma, 43° anno, n. 369-370, giugno/luglio 1967, pagg. 23-24. L’autore è Marcel Le Duc.
Caricatura di Eugène Labiche
Centinaia di autori della seconda meta del secolo XIX sono caduti nell’oblio, ma Labiche lo si recita ancora e non si è mai cessato di recitarlo. Per la letteratura drammatica francese, Labiche è un classico e la Comédie lo ripresenta e rappresenta con la regolarità conferita ai propri autori elencati sotto questa etichetta.
Se i personaggi delle commedie di Labiche hanno perduto la loro realtà sociale, pur rimanendo intatti, vuol dire che non erano nati come piccole rotelle di un ingranaggio meccanico costruito secondo la ricetta adatta a muovere il riso, ma creati con una loro verità umana, così fortemente dosata, da ritrovarla intatta dopo più di un secolo. Si tratta di una prova di capacità superiore al semplice talento teatrale; lo dimostra e giustifica la continua apparizione di questo classico – nei limiti dello stesso classicismo – in opposizione alle altre scuole (romanticismo, novecentismo, futurismo, ecc.) ed a favore dell’ordine cui appartiene. Rifacendoci ad una osservazione di Corrado Ravolini, “per quanto non gli somigli affatto, confrontare Labiche col nostro Goldoni, può aiutare a chiarire la personalità del francese, tenendo conto trattarsi di un uomo di teatro, mentre il nostro veneziano era un poeta”. Il loro punto di contatto è lo spirito di osservazione, in quanto il tema preferito è la borghesia. La commedia Il viaggio del Signor Perrichon è l’esempio più probante.
“Nell’uno come nell’altro, la borghesia mostra per trasparenza il proprio decoro, come limiti, pregi, manie, irreligiosità, rivelando quell’etica un poco approssimativa e reticente, che sempre racchiude il germe di una minima riserva mentale, di una possibile transazione. Una volta salve le forme dell’onestà e della decenza, tutto sembra a posto in entrambi. E li accomuna quel brio di soluzioni sceniche, che tien luogo a delle vere soluzioni interiori: che non le sostituisce, ma ce le fa volentieri dimenticare. In entrambi il “lieto fine ” è una necessita istruttiva, una premessa contenuta fin dall’inizio nella logica e nella partitura”.
Esempio lampante II viaggio del Signor Perrichon come Un cappello di paglia di Firenze, ritenuto il suo capolavoro, e sulla scia del quale proseguirono i continuatori Hennequin, Weber, Quinson, Mirande, ecc. Non si è citato Feydeau (1862-1921) che esordì nel 1887, col preciso compito di far ridere quella stessa borghesia di Labiche, ma senza moralità, divertirla cioè come essa dimostrava di amare, a gola spiegata, senza soffermarsi sulle ragioni del suo ridere. Feydeau era invece un formidabile costruttore di meccanismi di precisione, che sapeva portare alla perfezione le formule proprie del vaudeville, con le sue coincidenze, i qui pro quo, gli imbrogli. La sua regola era di creare due personaggi che avevano il solo interesse di sfuggirsi: trovarsi faccia a faccia generava la sorpresa e scatenava gli avvenimenti. Formidabile maestria, ma inventore di ingranaggi. Tuttavia i personaggi di Feydeau, perduto ogni carattere umano – dopo essere vissuti in un universo speciale, privi del libero arbitrio – non diventano del tutto marionette nelle mani di un demiurgo, perché resta l’osservatore dell’uomo. Feydeau ci ha mostrato deformato lo spettacolo del mondo reale, divertendosi a sovrapporne uno fittizio; Labiche ha nascosto nel fondo della sua ricca buffoneria il tratto della sua osservazione acuta. L’opera sua è opera di uno scrittore dotato di originalità e quindi di un suo tono, che ha ancora la forza di resistere.
Il tratto di II viaggio del Signor Perrichon – dice Simoni – è la riconoscenza; dimostrare che alla lunga, dover essere grato a qualcuno, pesa. Ci fa più piacere godere quella degli altri che tributare ad altri la nostra. Ad un uomo di teatro tale condizione – forma inconfessata di egoismo – procura felicissime opportunità, tra contrasti comici o amari. Labiche ha scelto i primi, seguendo la sua ridente fantasia. Nella gara tra due giovani innamorati della signorina Perrichon, chi si propina il favore del signor Perrichon padre non è quello che gli rende spontaneamente dei servizi, ma quello che con furberia se li fa rendere. “Su questo tema la commedia gioca, rinnovandosi sempre con vivace ingegnosità, ed immettendo nell’azione, quasi a capofitto, personaggi che sono spinti avanti dalla veemenza stessa della loro imbecillità, caratterizzati da certe espressioni verbali, che tornano sempre come ritornelli, nel loro discorso, in qualunque momento o stato d’animo si trovino, sicché c’è un burlesco contrasto tra la fissità delle loro parole e le travolgenti vicende che li portano via. Sono i personaggi che Labiche preferisce, strettissimi parenti di quelli descritti da Paul De Rock, borghesi, grassi, torpiti, ottusi o sufficienti”.
Abbiamo riletto il testo, che ci è sembrato eccezionalmente valido, a 107 anni dalla prima rappresentazione. Bisogna proprio rileggerla questa commedia per averne esatta convinzione.