Come mangiarsi i soldi della zietta (Je croque ma tante)

Je croque ma tanteÈ così bella l’allegria! Ti permette di sorvolare sulla qualità dello scoppio di risa e, da quando la comicità si è fatta sempre più rara sulle nostre scene di genere, è già motivo di gioia per noi poterci accontentare della buffoneria. Come mangiarsi i soldi della zietta, andata in scena al Teatro del Palais-Royal, appartiene a uno di quegli stili che di questi tempi si sono molto involgariti e che risalgono a Jean-François Regnard, giusto per dar loro un padre, se nell’interesse della buona fama della famiglia letteraria la ricerca della paternità non fosse così rigorosamente vietata come lo è nella società civile. Il quiproquo immaginato da Eugène Labiche e Marc Michel ruota, come potete ben intuire, attorno a una quantità industriale d’inverosimiglianze sovrapposte. L’opera si mantiene in perfetto equilibrio perché il pubblico accetta volentieri di farsi complice della coppia di autori.
Immaginatevi un marito molto disonesto, tale Chateaugredin, con il domicilio coniugale in una specifica via e l’appartamento per la relazione illegittima nella via giusto di fronte. È il giorno del suo onomastico, deve cenare con una sciacquetta con cui si mangia i soldi della zietta ma non ha tenuto conto del rientro di sua moglie dalle terme. Il pasto comandato inizia da un lato della via e si conclude in quella di fronte; si crea una confusione di piatti, bottiglie e domestici; il marito, trafelato, mangia un primo pezzetto di rombo a casa della moglie e un secondo a casa dell’amante. Già questo vi dice molto sulla struttura della pièce. Non tutto viene chiarito nell’epilogo, e la moglie di Chateaugredin, dopo aver superato un attacco di gelosia, crede di non avere nulla da perdonare al marito. Eugène Labiche e Marc Michel hanno fatto di meglio, ma il testo è comunque divertente.
(La presente recensione è tratta da Le Figaro, 11 marzo 1858. L’autore è B. Jouvin. La traduzione è mia)

Qui è possibile scaricare un’anteprima del copione, da me tradotto, e anche richiederlo completo:

Come mangiarsi i soldi della zietta

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Nuovi copioni di Eugène Labiche disponibili

Sono disponibili tre nuovi copioni di Eugène Labiche tradotti in italiano.

Abbracciamoci, Folleville!: divertente atto unico che vede come protagonista il cavaliere Folleville, giovane un po’ ingenuo, alle prese con il Marchese Manicamp e con la figlia molto bassa e manesca di lui.

Abbracciamoci, Folleville!

Un signore permaloso: atto unico su un uomo a cui salta continuamente la mosca al naso, qualsiasi cosa uno faccia o dica. Bécamel, che sogna di partire per l’Italia, si troverà involontariamente ad avere a che fare con lui con conseguenze alquanto complicate.

Un signore permaloso

Il viaggio del Signor Perrichon: nota pièce di Labiche su un uomo che detesta essere riconoscente e che non riesce proprio a provare simpatia per chi gli fa del bene. Un’interessante storia filosofica impostata secondo il classico stile dell’autore, per cui un personaggio che dovrebbe risultare odioso finisce in fondo per scatenare il riso.

Il viaggio del Signor Perrichon

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Un marito appeso al muro (copione)

Nuovo copione di un atto unico di Labiche, mai tradotto in italiano, disponibile in anteprima sul mio sito personale e richiedibile via mail.

Un marito appeso al muro

Un’anticipazione:
Olympia Dove state andando?
Picquefeu Dal mio sarto.
Olympia È una scusa!… Voi non uscirete.
Picquefeu Cosa?… Ma mi serve un paio di pantaloni!
Olympia (strappandogli il cappello di dosso e gettandolo a terra) Non uscirete, vi dico!
Picquefeu (raccogliendo il cappello) Ehi! Un po’ di riguardo… È il mio cappello nuovo! (A parte) Che le prende?
Olympia Se avete assolutamente bisogno del sarto… scrivetegli di venire qui.
Picquefeu È che… avevo anche intenzione di farmi un bagno.
Olympia Volete farvi un bagno?… Benissimo!
Va a destra a suonare il campanello.
Amédée (comparendo) La signora desidera?
Olympia Andate a dire che preparino un bagno al signore. (Amédée esce. A Picquefeu) Ve lo farete qui!
Picquefeu Ma volevo anche passare dal mio parrucchiere.
Olympia Il vostro parrucchiere?… Benissimo!
Va a sinistra a suonare il campanello.
Amédée (ricomparendo) La signora desidera?
Olympia Andate a prendere il parrucchiere del signore.
Amédée esce.
Picquefeu A questo punto, legatemi per una gamba!

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Eugène Labiche citazioni umoristiche 2

bozzettoUn egoista è incapace di voler bene a un amico; ma non può fare a meno degli amici: lui da solo non amerebbe mai abbastanza se stesso.
(Eugène Labiche, 1815-1888)

Io scrivo testi teatrali e mia moglie fa scena.
(Eugène Labiche, 1815-1888)

Nel cimitero della gloria la concessione in perpetuo non esiste.
(Eugène Labiche, 1815-1888)

Una bella dote dà maggiori garanzie di una bella donna: gli amici non ve la portano via.
(Eugène Labiche, 1815-1888)

Se qualcuno vi fa qualche osservazione sulla dimensione del vostro letto, dite che aspettate ospiti.
(Eugène Labiche, 1815-1888)

Gli uomini non si affezionano a noi in funzione dei servigi che gli rendiamo, ma in funzione di quelli che loro ci rendono.
(Il viaggio del signor Perrichon (Le voyage de Monsieur Perrichon)
Commedia in quattro atti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro Gymnase il 10 settembre 1860)

Prima di caricare un uomo di un obbligo, assicuratevi con molto anticipo che non sia un imbecille.
(Il viaggio del signor Perrichon (Le voyage de Monsieur Perrichon)
Commedia in quattro atti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro Gymnase il 10 settembre 1860)

La parola d’onore… è come la neve… si scioglie al sole!
(Il misantropo e l’alverniate (Le Misanthrope et l’Auvergnat)
Commedia in un atto intervallata da canti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 10 agosto 1852)

La verità risiede in un pozzo, ma senza l’acquaiolo ci resterebbe.
(Il misantropo e l’alverniate (Le Misanthrope et l’Auvergnat)
Commedia in un atto intervallata da canti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 10 agosto 1852)

Ci sono circostanze in cui la menzogna è il più sacro dei doveri.
(Le intense passioni del capitano Tic (Les Vivacités du capitaine Tic)
Commedia in tre atti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Vaudeville il 16 marzo 1861)

La Cagnotte (atto I, bozzetto)

La Cagnotte (atto I, bozzetto), L’Heritier (1809-85); Bibliotheque de L’Arsenal, Paris, France.

La giovinezza è temporanea.
(Il maggiore Cravachon (Le Major Cravachon)
Commedia-vaudeville in un atto rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 15 febbraio 1844)

Trasudava onestà… Solo che trasudava poco.
(C’è bisogno di dirlo? (Doit-on le dire?)
Commedia in tre atti rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 20 dicembre 1872)

Ma datemi retta, insomma! Prego che siate paziente e modesta, corpo di mille fulmini! E voi neanche mi ascoltate, per la miseria!
Il fatto è che pregate… andando in bestia!
(Abbracciamoci, Folleville! (Embrassons-nous, Folleville!)
Commedia-vaudeville in un atto rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 6 marzo 1850)

E per dessert… mangeremo ostriche, corpo di mille balene!
(Un signore che ha ucciso una signora in un incendio (Un Monsieur qui a brûlé une dame)
Commedia-vaudeville in un atto rappresentata per la prima volta a Parigi al Teatro del Palais-Royal il 29 novembre 1856)

Altre citazioni sono disponibili a questo link: https://eugenelabiche.wordpress.com/2016/10/31/eugene-labiche-citazioni-umoristiche/

bozzetto

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Il mistero della Rue Rousselet (copione)

È disponibile la traduzione dell’atto unico Il mistero della Rue Rousselet. Cinque personaggi: quattro uomini e una donna.
Testo in cui il comico prevale sul giallo, senza l’amarezza vista in L’affare della Rue de Lourcine, e che riserva qualche divertente colpo di scena.

Il mistero della Rue Rousselet

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Il delitto di Via dell’Orsina (rassegna stampa)

Un colpevole che si crede innocente…
un innocente che si crede colpevole…
tre cadaveri e una gatta morta. Eppure si ride,
e allora, cos’è questa strana inquietudine?
(Antonio Cornacchione)

Si riportano qui di seguito alcuni stralci degli articoli dedicati al Delitto di Via dell’Orsina, allestito al teatro Franco Parenti per la regia di Andrée Ruth Shammah, su traduzione e adattamento della stessa Shammah e di Giorgio Melazzi, e basato sull’atto unico L’affaire della Rue de Lourcine di Labiche.

È un Eugène Labiche anomalo, quello scelto da Andrée Ruth Shammah per la sua nuova regia, L’affaire de la rue de Lourcine, che, traghettando la vicenda dalla Francia della seconda metà dell’Ottocento all’Italia degli anni Quaranta, è diventato Il delitto di via dell’Orsina […].
Potrebbe essere solo una pochade, di cui Labiche era maestro assoluto, genio boulevardier al pari di Feydeau, talento prolifico e sopraffino per indiavolate geometrie di equivoci e farse puntate come armi di precisione sul ridicolo nascosto sotto i tappeti della buona borghesia. Ma c’è qualcosa in più. «Un senso di spaesamento, la percezione che sia successo qualcosa, un evento rispetto a cui niente sarà più come prima », spiega Shammah, che al suo fianco ha voluto una squadra a larga maggioranza femminile: Margherita Palli per le scene, Nicoletta Ciccolini per i costumi, Camilla Piccioni per le luci.
La matrice è da vaudeville, ma virata a un quasi noir messo in tensione sul comico intrinseco a un atto unico che corre spedito tra colpi di scena, molti pasticci e parecchi guai, soprattutto per i due protagonisti, interpretati da Massimo Dapporto e Antonello Fassari («non avevo mai lavorato con loro, ma mi sembravano perfetti. Ora posso dire che avevo ragione»). Insieme a loro, Antonio Cornacchione, Susanna Marcomeni, Andrea Soffiantini, Christian Pradella a completare un cast «con cui è stato bellissimo lavorare. Faticoso, perché Andrée è puntigliosa come nessuno, ma ci siamo molto divertiti».
(Sara Chiappori, La Repubblica, 06 dicembre 2021)

foto di ©Francesco Bozzo

foto di ©Francesco Bozzo

Poco rappresentato in Italia (ma ne hanno curato l’allestimento nomi come Patrice Chereau e Klaus Michael Grüber), il testo del padre nobile del vaudeville Labiche risale al 1857 e, fra equivoci, intrecci vorticosi e ingarbugliate cospirazioni, racconta nello spazio di settanta minuti le ansie e i maneggi criminosi di due non più giovani ex compagni di scuola che, dopo una nottata di bisbocce (di cui non ricordano nulla), si convincono di aver compiuto un efferato delitto e non dimostrano scrupoli pur di farla franca. […]
«La brevità in questo caso non è semplificazione, è pensare che si possono concentrare tanti argomenti e tanta vita in un tempo breve! Ho spostato l’azione in epoca prefascista e preso altri personaggi da altre commedie di Labiche. Soprattutto è stato bellissimo che, pur nel disegno preciso dell’intenzione registica, gli attori abbiano avuto la libertà di intervenire con le loro proposte.
Non è una pochade dai ritmi indiavolati e, in un mondo come quello di oggi, dove conta come gli altri ti vedono e non come sei, i personaggi sono assolutamente “credibili”».
(Daniela Zacconi, Corriere della Sera, 07 dicembre 2021)

Del 1857, pochissimo rappresentato in Italia, “Il delitto” in Francia è considerato un capolavoro della comicità e del vaudeville, palestra di comicità dai tempi del muto a quelli della contestazione, fino a oggi. È una specie di noir, in cui dramma e commedia si intersecano e in cui si inseriscono numeri cantati, qui accompagnati da una piccola orchestra dal vivo che esegue le musiche originali di Alessandro Nidi. […]
«Ho deciso di uscire dalla mia comfort zone – asserisce Shammah, circa la scelta di questo testo – poiché avevo bisogno di raccontare cose profonde in leggerezza, di far ridere senza rinunciare a far riflettere. Questa pochade così poco convenzionale era perfetta: nella scrittura e nelle tematiche che affronta molto attuali, come la predominanza dell’esteriorità sull’interiorità, la divaricazione tra come vogliamo apparire agli altri e quello che siamo davvero dentro, la solitudine che ci accompagna».
(Adriana Marmiroli, La Stampa, 08 dicembre 2021)

Il testo originale, poco frequentato sui nostri palcoscenici, è il classico vaudeville alla francese tanto in voga nell’Ottocento. Una storia leggera, certamente, ma ben congeniata per riflettere svariate questioni: fin dove saremmo disposti a spingerci per tutelare il nostro onore?
Tra una cantatina e un gioco di parole, l’amara verità è che l’ombra dell’animo umano potrebbe spingerci al male più nero. Ma fortunatamente siamo in un vaudeville, quindi il bene trionfa sempre grazie al caso e una grande risata risolve tutto.
(Andrée Ruth Shammah)

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Il mistero della Rue Rousselet

RousseletEsattamente come L’affare della Rue de Lourcine, Il mistero della Rue Rousselet ha un titolo derivante da un episodio di cronaca ed è una commedia poliziesca che ha lo scopo di far ridere. Il critico Francisque Sarcey si limita a dedicare alla pièce tre sole righe: “Quest’atto unico è tutto già visto e non vale la pena soffermarcisi. Le ultime scene sono allegre e hanno fatto ridere il pubblico”. (L’opinion nationale, 13 maggio 1861). Sarcey però si sbaglia, di molto, e considerato che il suo punto di vista è quello della tecnica drammaturgica avrebbe dovuto riconoscere alla pièce una sorta di perfezione nel suo genere: soggetto originale, gestione dell’intreccio, finale comico.

Certo il mistero non dura a lungo per lo spettatore, ma per il domestico e il vicino impiccione si infittisce con l’avanzare delle scene, mentre lo zio e il marito sospettato fanno a gara a chi fornisce la spiegazione più strampalata per placare la sposa oltraggiata. Il tutto si conclude con un’eccellente scena di clownerie che ha trovato grazia anche agli occhi del critico dell’Opinion nationale.

Il mistero della Rue Rousselet, allestita il 06 maggio 1861 al Teatro del Vaudeville, ha condiviso il palcoscenico con Le intense passioni del capitano Tic solo per venticinque sere. Mezzo fiasco, del tutto immeritato, che ha forse indotto Labiche a non inserire il testo nell’edizione delle sue pièces del 1878.
(Il presente frammento è tratto dal volume Eugène Labiche, Théâtre I, a cura di Jacques Robichez, Éditions Robert Laffont, Paris 1991, p. 773, traduzione mia)

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Labiche classico

Il presente articolo è tratto da Il Dramma, 43° anno, n. 369-370, giugno/luglio 1967, pagg. 23-24. L’autore è Marcel Le Duc.

Caricatura di Eugène Labiche

Caricatura di Eugène Labiche

Centinaia di autori della seconda meta del secolo XIX sono caduti nell’oblio, ma Labiche lo si recita ancora e non si è mai cessato di recitarlo. Per la letteratura drammatica francese, Labiche è un classico e la Comédie lo ripresenta e rappresenta con la regolarità conferita ai propri autori elencati sotto questa etichetta.

Se i personaggi delle commedie di Labiche hanno perduto la loro realtà sociale, pur rimanendo intatti, vuol dire che non erano nati come piccole rotelle di un ingranaggio meccanico costruito secondo la ricetta adatta a muovere il riso, ma creati con una loro verità umana, così fortemente dosata, da ritrovarla intatta dopo più di un secolo. Si tratta di una prova di capacità superiore al semplice talento teatrale; lo dimostra e giustifica la continua apparizione di questo classico – nei limiti dello stesso classicismo – in opposizione alle altre scuole (romanticismo, novecentismo, futurismo, ecc.) ed a favore dell’ordine cui appartiene. Rifacendoci ad una osservazione di Corrado Ravolini, “per quanto non gli somigli affatto, confrontare Labiche col nostro Goldoni, può aiutare a chiarire la personalità del francese, tenendo conto trattarsi di un uomo di teatro, mentre il nostro veneziano era un poeta”. Il loro punto di contatto è lo spirito di osservazione, in quanto il tema preferito è la borghesia. La commedia Il viaggio del Signor Perrichon è l’esempio più probante.
“Nell’uno come nell’altro, la borghesia mostra per trasparenza il proprio decoro, come limiti, pregi, manie, irreligiosità, rivelando quell’etica un poco approssimativa e reticente, che sempre racchiude il germe di una minima riserva mentale, di una possibile transazione. Una volta salve le forme dell’onestà e della decenza, tutto sembra a posto in entrambi. E li accomuna quel brio di soluzioni sceniche, che tien luogo a delle vere soluzioni interiori: che non le sostituisce, ma ce le fa volentieri dimenticare. In entrambi il “lieto fine ” è una necessita istruttiva, una premessa contenuta fin dall’inizio nella logica e nella partitura”.

Esempio lampante II viaggio del Signor Perrichon come Un cappello di paglia di Firenze, ritenuto il suo capolavoro, e sulla scia del quale proseguirono i continuatori Hennequin, Weber, Quinson, Mirande, ecc. Non si è citato Feydeau (1862-1921) che esordì nel 1887, col preciso compito di far ridere quella stessa borghesia di Labiche, ma senza moralità, divertirla cioè come essa dimostrava di amare, a gola spiegata, senza soffermarsi sulle ragioni del suo ridere. Feydeau era invece un formidabile costruttore di meccanismi di precisione, che sapeva portare alla perfezione le formule proprie del vaudeville, con le sue coincidenze, i qui pro quo, gli imbrogli. La sua regola era di creare due personaggi che avevano il solo interesse di sfuggirsi: trovarsi faccia a faccia generava la sorpresa e scatenava gli avvenimenti. Formidabile maestria, ma inventore di ingranaggi. Tuttavia i personaggi di Feydeau, perduto ogni carattere umano – dopo essere vissuti in un universo speciale, privi del libero arbitrio – non diventano del tutto marionette nelle mani di un demiurgo, perché resta l’osservatore dell’uomo. Feydeau ci ha mostrato deformato lo spettacolo del mondo reale, divertendosi a sovrapporne uno fittizio; Labiche ha nascosto nel fondo della sua ricca buffoneria il tratto della sua osservazione acuta. L’opera sua è opera di uno scrittore dotato di originalità e quindi di un suo tono, che ha ancora la forza di resistere.

Il tratto di II viaggio del Signor Perrichon – dice Simoni – è la riconoscenza; dimostrare che alla lunga, dover essere grato a qualcuno, pesa. Ci fa più piacere godere quella degli altri che tributare ad altri la nostra. Ad un uomo di teatro tale condizione – forma inconfessata di egoismo – procura felicissime opportunità, tra contrasti comici o amari. Labiche ha scelto i primi, seguendo la sua ridente fantasia. Nella gara tra due giovani innamorati della signorina Perrichon, chi si propina il favore del signor Perrichon padre non è quello che gli rende spontaneamente dei servizi, ma quello che con furberia se li fa rendere. “Su questo tema la commedia gioca, rinnovandosi sempre con vivace ingegnosità, ed immettendo nell’azione, quasi a capofitto, personaggi che sono spinti avanti dalla veemenza stessa della loro imbecillità, caratterizzati da certe espressioni verbali, che tornano sempre come ritornelli, nel loro discorso, in qualunque momento o stato d’animo si trovino, sicché c’è un burlesco contrasto tra la fissità delle loro parole e le travolgenti vicende che li portano via. Sono i personaggi che Labiche preferisce, strettissimi parenti di quelli descritti da Paul De Rock, borghesi, grassi, torpiti, ottusi o sufficienti”.

Abbiamo riletto il testo, che ci è sembrato eccezionalmente valido, a 107 anni dalla prima rappresentazione. Bisogna proprio rileggerla questa commedia per averne esatta convinzione.

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Copione di Un giovane frettoloso (Un jeune homme pressé)

E’ disponibile, sul mio sito web, l’anteprima dell’atto unico Un giovane frettoloso di Eugène Labiche (tre personaggi, solo uomini).
Riporto qui un esempio di scambio di battute:

Pontbichet E siete tutti così a Bordeaux?
Dardard Tutti!
Pontbichet Ebbene, a Parigi siamo diversi: quando ci svegliano nel cuore della notte… prendiamo un bastone, bello rotondo, e lo rompiamo, senza tanti complimenti, sulla zucca dell’importuno!
Dardard Ah, giochiamo alla pentolaccia!
Pontbichet Sì, con la vostra faccia!
Dardard Non che l’idea mi piaccia!

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Eugène Labiche e il posto lasciato vacante

Tomba di Eugène LabicheHenri Meilhac è stato accolto all’Académie Française il giorno 4 del corrente mese. È un autore di commedie leggere. L’ammissione di uno scrittore del suo calibro nella cerchia un tempo esclusiva dei dotti Quaranta, avrebbe suscitato sorpresa nel pubblico di vent’anni fa. Gli accademici della vecchia scuola avrebbero sorriso di fronte alle sue pretese di ottenere un posto tra loro. All’epoca, era necessaria l’impronta del genio; ma adesso, l’industriosità associata a una certa vivace immaginazione e a uno stile corretto sono sufficienti. Henri Meilhac è meglio noto per la sua opera Frou Frou, ma ha scritto altre novantasette commedie di maggiore o minore merito letterario; tuttavia è stato eletto al posto lasciato vacante dalla morte di Eugène Labiche, a sua volta drammaturgo. Le sue commedie brillano tutte di arguzia e freschezza, e incontreranno sempre i favori di un pubblico riconoscente che accorrerà numeroso. Una particolarità di Labiche era che non rappresentava mai personaggi femminili; alcuni sostengono che fosse per galanteria; in ogni caso, le sue composizioni sono libere dalla macchia dell’immoralità. Si occupava dei vizi e delle manie maschili e li ridicolizzava con un sarcasmo tagliente; il borghese, le sue passioni meschine e il suo egoismo travolgente sono sferzati senza pietà. Henri Meilhac, durante il suo discorso, ha raccontato in termini adeguati, anche se privi di fulgore, la vita uniformemente felice, il successo letterario e la fine cristiana del suo predecessore.

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