Un passo nel crimine (Un pied dans le crime)

Il presente articolo è tratto dal quotidiano Le Temps del 03 settembre 1866. L’autore è Louis Ulbach. La traduzione è mia.

Un pied dans le crime Quando si compie un solo Passo nel crimine, è sempre possibile uscirne. È così che inizia a compiersi il destino di un versaiolo; è la situazione in cui si viene a trovare l’eroe della nuova pièce di Labiche e Choler.

Sono sicuro che Gatinais crede alla tragedia, e anche allo sciovinismo militare ed esclusivo. È talmente orgoglioso del suo ruolo di giurato da provare un orgoglio altrettanto smisurato per il suo essere francese.

L’idea di una commedia che studia le pretese e le manie di un borghese che il destino ha elevato all’imponente funzione di giurato è nuova e intrigante. Bisogna ammetterlo, la maestosità del suffragio universale, alla pari di quella regale, non deve essere esente da analisi e scetticismi. L’umanità è sempre e ovunque un fecondo soggetto di caricatura. Gatinais, che sogna gli onori della Corte d’Assise, le delizie delle porte chiuse, che studia diritto per svolgere con maggiore coscienza la sua funzione di giurato, non è forse un eccellente soggetto? Alla solennità della situazione aggiungeteci un’imprudenza da lui commessa che lo costringe a comparire presso la Corte anche in qualità di imputato, proprio nello stesso giorno in cui è chiamato a esercitare il suo ruolo di giurato, e otterrete una serie di effetti estremamente comici. Da una parte c’è Gatinais, consapevole che l’uomo che sta per comparire al suo cospetto è innocente, in quanto accusato del crimine da lui commesso; e dall’altra c’è sempre Gatinais, che cerca di far evadere l’innocente in quanto sa benissimo che il suo verdetto non può salvarlo. La lotta che si consuma in questo contesto è reale, e ben più imbarazzante di quella del novello Cid contro la novella Chimène.

Geoffroy

Geoffroy visto da Lhéritier

Non è difficile intuire che cosa è riuscito a tirare fuori da una simile tematica l’arguto spirito di osservazione di Labiche. Tuttavia, devo confessare che dal mio punto di vista questa commedia non riuscirà a ottenere, o a superare, il successo del Gruzzolo, della Stazione Champbaudet, dei Trentasette soldi del Signor Montaudoin, e di tante altre opere buffonesche firmate Labiche. Mi sembra, anzi, che Geoffroy mancasse della sua solita verve e non tratteggiasse il personaggio nel modo giusto. Sta di fatto che con dei simili artisti, la rivincita, se di rivincita si può parlare, sarà facile facile.

Alcuni miei conoscenti hanno espresso notevole stupore nel vedere sul palcoscenico la caricatura di un giurato. E cosa c’è da stupirsi? Un giurato non è un funzionario scelto, nominato dall’autorità, che la censura ha il compito specifico di proteggere. Il suo ruolo è occasionale, non è tenuto a dimostrarsi integerrimo quanto un giudice. Ah! Se si trattasse di un funzionario con tanto di salario, il discorso cambierebbe! Ma un cittadino libero e probo, che giura solo di rispettare la verità e di ascoltare la sua coscienza, può benissimo essere oggetto di scherno senza che la censura senta l’esigenza di intervenire. In compenso, è impossibile introdurre nelle pièces ad argomento giudiziario un personaggio che assomigli anche solo lontanamente a un sostituto procuratore imperiale. Nel testo di Labiche e Choler, infatti, è un procuratore dilettante a condurre le indagini. Come mai una simile distinzione quando si tratta di satira? Perché l’edificio sociale dovrebbe uscire più scosso se a essere oggetto di scherno è un funzionario anziché un giurato? È forse il salario a determinare l’inviolabilità della persona? Sono tutte domande a cui non mi aspetto di ricevere risposta, e che avrò ancora modo di porre in futuro.

Un pied dans le crime, introduzione del regista Jean Louis Benoit:

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