Eugène Labiche: lo “spirito” del Secondo Impero

Il presente frammento è tratto dal volume Le Théâtre au XIXe siècle. Du romantisme au symbolisme, Bréal Éditions, Rosny-sous-Bois 2001, pp. 102-103. L’autrice è Anne-Simone Dufief. La traduzione è mia.

Eugène LabicheLabiche ha conosciuto un successo enorme alla sua epoca, ma, a differenza di Eugène Scribe, il suo è un teatro vivo. Le sue opere sono regolarmente rappresentate e catturano l’attenzione dei registi più prestigiosi. Questo suo essere ancora presente sulle scene porta a una rivalutazione della sua opera che non può essere semplicemente relegata al rango dei divertimenti di un’epoca specifica; il critico Francisque Sarcey, ad esempio, il 05 maggio 1879 sul quotidiano Le Temps durante una ripresa del Viaggio del Signor Perrichon, affermava che questa pièce è un capolavoro degno della Comédie-Française: “Siccome Labiche si era sempre occupato di un genere ritenuto secondario – e tutti sanno bene quale importanza abbia, in Francia, la questione dei generi – non è mai stato inserito nel rango giusto”.

La pubblicazione, nel 1878, del suo teatro scelto, ha permesso di scoprire che quel teatro allegro e comico resisteva benissimo alla prova della lettura:
“Non avevo mai letto quelle pièces di Labiche che tanto mi avevano divertito sulla scena; immaginavo, come molti altri, che necessitassero del gioco fantasioso dei loro interpreti, e l’autore stesso contribuiva a confermare questa mia opinione grazie all’estrema modestia con cui parlava delle sue opere. Ebbene, mi sbagliavo; come l’autore e come tutti quelli che condividono questa idea. Il teatro di Labiche guadagna il cento per cento alla lettura; il lato burlesco scompare nell’ombra e il lato comico esce in piena luce; non si tratta più della risata nervosa e contratta in una smorfia di una bocca solleticata dai filamenti di una piuma; è la risata ampia e luminosa in cui la ragione fa da sottofondo”. (Émile Augier, introduzione al Teatro di Labiche, 1878)

Il viaggio del Signor PerrichonL’opera di Labiche conta circa 174 opere classificate come vaudeville, commedie-vaudeville, o semplicemente commedie; queste diverse denominazioni, tuttavia, non permettono di definire con precisione i sottogeneri. Labiche, a volte, lamentava che i direttori dei teatri lo costringessero a scrivere pièces troppo leggere con la conseguenza che esiste un contrasto evidente tra quelli che si possono considerare i suoi capolavori e i testi di circostanza. Tuttavia, l’immaginaria linea di demarcazione non separa tanto i primi dai secondi quanto gli atti unici dalle pièces in tre, quattro o cinque atti. Cercando, alla pari di Eugène Scribe, il riconoscimento delle istituzioni, Labiche tende ad avvicinarsi al modello della commedia neoclassica suddivisa in tre atti. Henry Gidel, studioso del teatro di Eugène Labiche e di Georges Feydeau, distingue nell’autore due tendenze principali: i vaudeville fondati su peripezie o equivoci, i cui esempi di maggiore successo sono Un cappello di paglia di Firenze (1851) e Il gruzzolo (1864), e le commedie dalla struttura più classica come Il viaggio del Signor Perrichon (1860) e L’amatissimo Célimare (1863).
Pierre Voltz, in compenso, sul numero speciale dedicato al vaudeville della Revue Europe, n. 786, ottobre 1994, vede in Labiche il creatore di un “terzo genere”, né vaudeville né commedia borghese, che egli definisce “genere Labiche” e di cui isola gli elementi permanenti: “Se da un lato c’è la tradizione della commedia borghese, di stampo realista (forse Labiche vi aspira ma essa non fa parte del suo repertorio), e dall’altra la tradizione della buffoneria gratuita che a metà del XIX secolo veniva chiamata vaudeville ma che, con Offenbach, assumeva il nome di operetta (la differenza tra i due generi riguardava più l’aspetto musicale che non il contenuto), Labiche non rientra in nessuna delle due categorie. Egli crea un terzo genere che fonde (attraverso queste due formule che egli utilizza a livelli diversi) le intenzioni del moralista e l’uso dell’esagerazione e che converte quest’ultima nella manifestazione scenicamente concreta delle prime. In Labiche, la deformazione comica (detta buffonesca, ma destinata in seguito a diventare surrealista o ancora assurda) è di tipo non naturalista ed è teatralizzazione del punto di vista di un moralista sul secolo e l’umanità”.

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